martedì 5 agosto 2014

DIETA MODERNA, SISTEMA IMMUNITARIO E MALATTIE IMMUNO-MEDIATE: CIO’ CHE DOBBIAMO SAPERE



La dieta moderna e le abitudini alimentari occidentali possono danneggiare il funzionamento del nostro sistema immunitario riducendo la capacità di difesa dalle infezioni e favorendo infiammazioni, allergie, malattie   autoimmuni e tumori. Conoscere quali fattori della dieta occidentale sono responsabili di questi effetti nocivi sul sistema immunitario è fondamentale per migliorare la nostra dieta e prevenire le malattie immuno-mediate.

E’ noto che una dieta che garantisce un adeguato apporto energetico e di micronutrienti (vitamine e minerali) è fondamentale per le funzioni del sistema immunitario. Un deficit di energia e/o di proteine, come è ben visibile nei soggetti denutriti, riduce gravemente le difese immunitarie e la capacità di risposta alle infezioni e la carenza di alcuni micronutrienti (selenio, rame, vitamina C, vitamina D ecc. ) può rendere meno efficiente il nostro sistema immunitario.
La dieta moderna, se non sufficientemente variata ed equilibrata, può talvolta comportare carenze di micronutrienti, ma sono altri i fattori caratteristici, ben più diffusi, che possono influire negativamente sulle nostre difese immunitarie.
Incominciamo con elencare quali sono le caratteristiche principali della dieta moderna occidentale:
  •           Eccessivo apporto di acidi grassi saturi
  •           Eccessivo apporto di acidi grassi polinsaturi della serie omega-6
  •         Ridotto apporto di acidi grassi polinsaturi della serie omega-3, a  favore degli omega-6
  •           Eccessivo consumo di sale
  •           Eccessivo consumo di zuccheri semplici

Tali fattori sono spesso accompagnati da uno stile di vita sedentario e possono da soli o in sinergia avere effetti nocivi anche sul nostro sistema immunitario, favorendo le cosiddette malattie immuno-mediate (allergie, malattie autoimmuni, infiammatorie e reumatiche). Vediamo come.

Zuccheri
Gli zuccheri semplici, in base a studi in vitro, riducono la funzionalità dei globuli bianchi (in particolare la fagocitosi, ovvero la capacità di inglobare e distruggere agenti estranei o riconosciuti come tali) e sono associati a marker di infiammazione più elevati. Sembra in particolare avere un ruolo importante il carico glicemico (impatto sulla glicemia di un pasto glucidico) dei pasti più che la quantità in sé e per sé di zuccheri semplici.
I carboidrati complessi non digeribili (fibre alimentari quali polisaccaridi, inulina, pectine) trovati in frutta e verdura, sembrano invece ridurre l’infiammazione sia sull’uomo sia sugli animali.

Sale
Un elevato consumo di sale con la dieta, in base a studi su animali, favorisce l’infiammazione e i processi infiammatori, aumenta il rischio di malattie autoimmuni e ne aggrava il decorso. Questi risultati sono tuttavia da confermare sull’uomo.

Acidi grassi saturi
Sono tanti gli studi e le evidenze scientifiche a prova dell’effetto pro-infiammatorio degli acidi grassi saturi, che in natura si trovano principalmente nei grassi animali (burro, lardo ecc.), solidi a temperatura ambiente, o nei grassi vegetali sottoposti a trattamento di idrogenazione (grassi vegetali idrogenati).
Essi supportano la via metabolica che porta alla formazione delle prostaglandine, in particolare la prostaglandina E2, già conosciuta come mediatore della febbre.
La prostaglandina E2 favorisce i processi infiammatori e l’attivazione dei macrofagi, cellule immunitarie la cui principale funzione è la fagocitosi.
Ma non finisce qui, troppi grassi saturi alterano la composizione delle membrane cellulari delle cellule del sistema immunitario, rendendole meno efficienti o alterandone le funzioni e possono indurre in errore il sistema immunitario, favorendo risposte autoimmuni contro i propri tessuti.
Le nostre cellule immunitarie hanno recettori particolari per i batteri, sensibili ad alcuni grassi saturi utilizzati come segnali di riconoscimento dei batteri, che in presenza di elevate concentrazioni degli stessi, possono erroneamente “scambiarli” per batteri e innescare una risposta infiammatoria nel nostro intestino.
L’infiammazione, in assenza dei batteri invasori, danneggia “per errore” la barriera intestinale alterandone la permeabilità e peggiorando il controllo delle infezioni.

Acidi grassi omega-6
Sebbene i grassi saturi spicchino tra i lipidi per il loro forte effetto pro-infiammatorio, non tutti gli acidi grassi insaturi, tipici degli oli vegetali (ad esempio olio di lino, olio di canapa ecc.) e liquidi a temperatura ambiente, sono ritenuti completamente “innocui” nei confronti del nostro sistema immunitario.
Gli acidi grassi polinsaturi della serie omega-6, se in eccesso , possono influire sulle difese immunitarie con vari meccanismi di azione.
Sebbene gli attuali studi clinici sull’uomo non provano un effetto pro-infiammatorio significativo degli acidi grassi omega-6, si attribuisce ad un elevato apporto di acidi grassi polinsaturi della serie omega-6 un effetto pro-infiammatorio, dovuto principalmente al fatto che essi sono precursori dei mediatori dell’infiammazione.

Acidi grassi omega-3
A differenza dei precedenti, agli acidi grassi polinsaturi della serie omega-3  è attribuito un effetto antinfiammatorio, motivo per cui sono stati condotti vari studi sul loro impiego nella gestione di malattie autoimmuni, reumatiche e infiammatorie.
Gli acidi grassi omega-3, contenuti in quantità significative nel pesce e nell’olio di pesce, in crostacei, noci, alcuni oli vegetali e nei semi di Chia, possono avere effetti benefici nel corso di varie condizioni con una componente infiammatoria, come ad esempio l’aterosclerosi e le malattie cardiovascolari, le malattie infiammatorie croniche dell’intestino e le allergie.
Un’adeguato apporto di acidi grassi omega-3 durante la gravidanza sembra avere effetto protettivo sul nascituro nei confronti di allergie e malattie infiammatorie, mentre è risultato il contrario per gli acidi grassi saturi e omega-6, a conferma di quanto già discusso.
Ma come agiscono gli acidi grassi omega-3 sul nostro sistema immunitario?
Essi inibiscono l’espressione dei geni pro-infiammatori e dei recettori TLR4 per i batteri, modulando un sistema immunitario iperattivo. Gli omega-3, e in particolare EPA (acido eicosapentaenoico) e DHA, (acido docosaesaenoico) possono inoltre influire sulla risposta immunitaria in quanto precursori di sostanze con effetto antinfiammatorio in grado di ridurre l’infiltrazione, indotta dall’infiammazione, di alcuni globuli bianchi, detti neutrofili, e di “catturare” sostanze che promuovono l’infiammazione, ma non solo.
Per questo, l’elevato apporto di acidi grassi omega-6 a discapito degli omega-3, che si traduce in un elevato rapporto omega6/omega3, è una delle principali cause imputate nella disfunzione immunitaria indotta dalla dieta moderna e nell’insorgenza delle malattie immuno-mediate.

Il microbiota intestinale
Dopo aver analizzato i fattori della dieta che possono influenzare, nel bene e nel male, il funzionamento del sistema immunitario, occorre ricordare il ruolo fondamentale della microflora intestinale e dei batteri probiotici che ne fanno parte, il cui equilibrio sembra essere fondamentale non solo per il mantenimento dell’equilibrio immunitario a livello intestinale ma anche a livello sistemico.
La disbiosi intestinale, ovvero un’alterazione della normale microflora intestinale, sembra essere associata con l’alterato sviluppo dei linfociti T regolatori, la cui carenza è legata ad un peggior controllo delle infezioni, malattie autoimmuni, allergie e, su questo i pareri sono controversi, al rischio di tumori.
Purtroppo la disbiosi intestinale può essere indotta da abitudini alimentari scorrette: i principali fattori della dieta imputati sono i grassi e gli zuccheri semplici, che possono alterare la composizione  della microflora intestinale con vari meccanismi di azione (induzione dell’infiammazione locale da recettori per batteri TLR4, variazione della concentrazione dei nutrienti a livello intestinale ecc.).
L’effetto nocivo della dieta non sembra inoltre limitarsi al singolo, ma si trasmette di generazione in generazione in quanto il neonato acquisisce non solo il microbiota della madre ma anche i suoi gusti e le sue abitudini alimentari e nel corso dell’allattamento ingerisce molecole ad azione pro-infiammatoria (queste ultime sarebbero associate ad elevato consumo di grassi saturi da parte della madre).

Nutrizione, infiammazione e tumori
Abbiamo parlato dell’effetto negativo di alcuni nutrienti sull’infiammazione e sul sistema immunitario e del legame della dieta moderna con le malattie immuno-mediate (malattie infiammatorie, malattie autoimmuni, malattie reumatiche ecc.).
E’ fondamentale ricordare anche che in generale, l’infiammazione cronica è associata con un aumentato rischio di tumori.
Alcuni grassi saturi ad azione infiammatoria sembrano essere direttamente coinvolti in questo meccanismo.
L’acido palmitico può potenziare la tossicità cellulare ferro-mediata, aumentando il tasso di mutazione del DNA e inibendo la normale apoptosi delle cellule mutate.
L’acido palmitico, l’acido stearico ma anche l’acido oleico (omega-9) possono inoltre costituire fattori di rischio indipendenti per lo sviluppo del tumore al colon.
Anche gli zuccheri semplici sembrano aumentare il rischio di tumori secondo vari meccanismi di azione, non tanto in sé e per sé, ma in quanto associati ad un elevato carico glicemico dei pasti e ad un elevato apporto energetico (attivazione di mTORC1).

I vari integratori a base di nutrienti con potenziali proprietà antitumorali, antiossidanti (vitamina E, vitamina D, selenio ecc)  o benefiche per il sistema immunitario non possono certo da soli limitare l’effetto pro-infiammatorio della dieta moderna, è quindi fondamentale porre attenzione a ciò che mangiamo, in particolare ai grassi saturi, al rapporto omega-6/omega-3, agli zuccheri semplici e al sale e … imparare a conoscere e a leggere le etichette nutrizionali.

Fonti:
Fast food fever: reviewing the impacts of the Western diet on immunity
Ian A Myles – Nutrition Journal 2014 13:61
Image Courtesy of KEKO64/FreeDigitalPhotos.net



domenica 13 luglio 2014

ACIDO SALICILICO CONTRO I TUMORI: ASPIRINA O DIETA ?

Aspirina, dieta e tumori: il ruolo dell'acido salicilico


L'acido salicilico, ricondotto dai più alla famosa Aspirina (acido acetilsalicilico), è riconosciuto per le sue proprietà antinfiammatorie, antidolorifiche e anticoagulanti. E' utilizzato inoltre per il trattamento dell'acne e di alcune patologie dermatologiche. In realtà i "salicilati", che sono presenti anche in natura e sono assumibili con la dieta, sono utili anche per la prevenzione di tumori di vario tipo.

L'acido salicilico è la più semplice molecola appartenente alla famiglia di composti chiamata "salicilati". E' inoltre il principale metabolita dell'aspirina (acido acetilsalicilico), farmaco ampiamente utilizzato per le sue proprietà antinfiammatorie, analgesiche e antipiretiche.

Le proprietà benefiche dell'aspirina, attribuite all'azione dell'acido salicilico, non sembrano però limitarsi a quelle per cui questo farmaco è conosciuto e utilizzato da oltre un secolo.
L'acido salicilico, in base a studi condotti su pazienti trattati con aspirina per lunghi periodi, è risultato essere collegato ad una minor incidenza di tumori, in particolare tumore del colon-retto, per il quale la riduzione del rischio sembra ammontare al 40%, e tumore della prostata.

Le proprietà antitumorali dell'acido salicilico sono state confermate anche da studi epidemiologici condotti su animali e in vitro su colture cellulari, che hanno evidenziato una minor crescita e capacità di diffusione delle cellule tumorali trattate con acido salicilico.

Il meccanismo d'azione dell'acido salicilico e dei salicilati sembra essere analogo a quello di altri farmaci antinfiammatori non steroidei (FANS) ed è legato al loro effetto inibitorio sulla proteina ciclossigenasi-2, denominata COX-2, enzima coinvolto nei processi infiammatori ma anche nella cancerogenesi.
Mentre la COX-2 si trova in basse quantità sulle cellule sane, essa si concentra sulla superficie di vari tipi di cellule tumorali (seno, ovaio, prostata, colon.retto) e una sua sovraespressione, in pratica una maggiore quantità di questa proteina, è correlata al grado di aggressività e di invasività del tumore; aumenta inoltre quando un tumore indolente muta in una forma più aggressiva o in caso di progressione del tumore.

L'acido salicilico, i salicilati naturali e i farmaci inibitori della COX-2 possono quindi agire selettivamente sulle cellule tumorali e prevenire la crescita e lo sviluppo di tumori allo stadio iniziale e il passaggio a forme più aggressive e invasive, inibendo l'espressione della COX-2. 

Definito l'importante effetto preventivo dell'acido salicilico nei confronti dello sviluppo di tumori abbiamo svelato il legame tra aspirina, dieta e prevenzione dei tumori.
L'acido salicilico, oltre ad essere il principale metabolita del farmaco aspirina, è prima di tutto una sostanza presente in natura nelle piante, per le quali riveste un importante funzione di difesa dalle infezioni e dai patogeni, di attivazione della morte cellulare e di induzione di resistenza alle malattie .
Oltre ad essere un composto caratteristico del salice bianco, da cui prende il nome, l'acido salicilico si trova in quantità significative anche in vegetali commestibili, che costituiscono le fonti alimentari di salicilati naturali.

Quali sono le principali fonti alimentari di acido salicilico? 
Alimenti naturalmente ricchi di acido salicilico sono le albicocche (3 mg/100g), il ribes rosso e nero (5 mg/100g), la cicoria (1mg/100g), le arance (2,4 mg/100g), l'ananas(2 mg/100g) e i lamponi (5 mg/100g). 
Varie fonti citano per il loro contenuto in salicilati anche le fragole, alle quali vengono popolarmente attribuite proprietà antinfiammatorie in virtù del loro contenuto di acido salicilico.

A questo punto viene da chiedersi se una dieta ricca di frutta e verdura può garantire da sola un apporto di acido salicilico sufficiente per esplicare l'effetto antitumorale o se l'apporto assumibile nel contesto di una dieta bilanciata è trascurabile rispetto a quello ritenuto efficace per l'inibizione della COX-2 e la prevenzione dei tumori.

La risposta c'è ed è positiva: l'inibizione della COX-2 avviene a concentrazioni di acido salicilico riscontrabili non solo in soggetti che assumono aspirina a basse dosi ma anche in soggetti che seguono una dieta ricca di frutta e verdura, soprattutto coloro che seguono una dieta vegetariana.
In particolare, la concentrazione stimata per l'inibizione della COX-2 del 50% si aggira sulle 5000 nmol/l ma anche concentrazioni di 100 nmol/l hanno mostrato effetti di inibizione della COX-2. 
Ebbene, in un gruppo di vegetariani che non assumevano salicilati da farmaci sono state riscontrate concentrazioni medie di acido salicilico variabili da 107 a 2468 nmol/l e la concentrazione sierica di acido salicilico dei vegetariani è risultata equivalente a quella ottenibile con l'assunzione di 80 mg al giorno di acido salicilico puro, dose più che sufficiente per inibire la cancerogenesi.

Un'altra volta ancora emerge l'importante ruolo della dieta, e in particolare delle ormai famose cinque porzioni di frutta e verdura giornaliere, per il mantenimento del nostro stato di salute, a cui, come ormai sappiamo contribuisce anche l'acido salicilico.

In conclusione, alla luce dei dati attuali, l'assunzione regolare di acido salicilico è raccomandabile a scopo preventivo in persone con un rischio aumentato di tumori.
L'effetto di inibizione della COX-2 e di prevenzione dei tumori è apparso indipendente dalla fonte di acido salicilico (salicilati naturali o salicilati di sintesi da farmaci).
Sicuramente, l'assunzione di aspirina, cardioaspirina o farmaci equivalenti a basse dosi per lunghi periodi può avere effetti collaterali anche gravi, soprattutto a livello gastrico, e deve avvenire, se sussistono le indicazioni, sotto controllo medico.
Una dieta bilanciata e ricca di frutta, verdura e fonti di salicilati naturali non necessita invece di alcuna prescrizione medica, non ha effetti collaterali ed è un investimento per il nostro benessere.

Fonti

Salicylic acid: a link between aspirin, diet and the prevention of colorectal cancer
J. R. Paterson and J.R. Lawrence
QJ Med 2001; 94:445-448

Aspirin, salicylates, and cancer
Peter C Elwood et al.
Lancet 2009; 373: 1301-09

www.cancernet.co.uk/diet-naturalaspirin.htm
Natural Salicylates (aspirin) and the cycloxidase pathway

http://it.wikipedia.org/wiki/Acido_salicilico

Image Courtesy of Aduldej/FreeDigitalPhotos.net

mercoledì 25 giugno 2014

PROBIOTICI? RIMEDIO PROMETTENTE NON SOLO PER IL BENESSERE INTESTINALE MA ANCHE PER ALLERGIE, MALATTIE AUTOIMMUNI E INFIAMMATORIE

I probiotici, sono batteri "utili", in grado di esplicare effetti benefici a livello gastro-intestinale, ma non solo. Lo stretto legame dei probiotici con il sistema immunitario intestinale, il più esteso del nostro organismo, apre le porte a nuovi e promettenti scenari: i probiotici potrebbero esplicare un'azione immunomodulante e antinfiammatoria e risultare utili nella prevenzione e nel trattamento di malattie autoimmuni, infiammatorie e allergie.

I batteri probiotici, popolarmente chiamati fermenti lattici vivi, sono organismi microbici vivi, che, se assunti in adeguate quantità, conferiscono un effetto benefico all'organismo ospite, migliorando l'equilibrio microbico intestinale.
Al fine di capire come mai è così importante mantenere un'adeguata microflora intestinale, è importante ricordare che l'intestino è un ecosistema complesso, in cui interagiscono la mucosa intestinale, il sistema immunitario intestinale (GALT) e la flora microbica intestinale (microbiota).

Tale microflora è normalmente costituita da ceppi benefici di batteri (Lactobacilli, Bifidobatteri, Streptococchi) che convivono con ceppi potenzialmente patogeni (Stafilococchi, Clostridi, Escherichia coli ecc.).


effetti collaterali antibiotici



La microflora intestinale ha funzioni importantissime:
  • protezione da batteri patogeni
  • secrezione di batteriocine (sostanze ad attività antimicrobica)
  • effetto barriera nei confronti di antigenti sensibilizzanti
  • azione favorente la digestione e lassorbimento di nutrienti, come il lattosio (zucchero del latte)
  • detossificazione di metaboliti dannosi
  • sintesi di vitamine (come la vitamina K)
  • stimolazione e modulazione del sistema immunitario intestinale

Un'alterazione della composizione della normale microflora intestinale, o disbiosi, può avere quindi effetti nocivi per la salute ed è risultata correlata a disturbi intestinali come:
  • intolleranza al lattosio
  • sindrome del colon irritabile
  • leaky gut syndrome (sindrome dell'intestino permeabile)
  • coliti infiammatorie (ad es. Colite ulcerosa)


Ma non finisce qui, un'alterato funzionamento del sistema immunitario intestinale, strettamente legato al sistema immunitario delle mucose, sembrerebbe avere un ruolo anche nell'insorgenza di disturbi extra-intestinali quali:
  • flogosi recidivanti delle prime vie aeree
  • infezioni ricorrenti delle vie genito urinarie
  • malattie allergiche cutanee (eczema, orticaria e dermatite atopica) e respiratorie

E' allora in primo luogo fondamentale definire quali sono i principali fattori favorenti le alterazioni della microflora intestinale:
  • penetrazione di batteri patogeni dall'ambiente esterno
  • terapia con antibiotici
  • dieta sbilanciata che determina un'alterazione del pH intestinale
  • alterazione della risposta immunitaria
  • infezioni fungine, virali o da protozoi


Cosa fare allora in caso di sintomi potenzialmente correlati a disbiosi intestinale?

Si può ripristinare la microflora intestinale in modo del tutto naturale tramite opportuni accorgimenti dietetici e tramite l'assunzione di probiotici eventualmente associati a prebiotici.

Mentre i probiotici sono microrganismi benefici resistenti ai succhi gastrici e ai sali biliari in grado di arrivare vitali nell'intestino e di colonizzarlo, i “prebiotici“ sono Ingredienti non digeribili degli alimenti, quali ad esempio fruttooligosaccaridi,che promuovono selettivamente la crescita degli stessi probiotici.

Mentre l'efficacia della supplementazione con probiotici è da tempo accertata in caso di diarree microbiche (diarree del viaggiatore ecc.), e spiegata dai meccanismi di competizione dei probiotici nei confronti di batteri patogeni, sono ancora in corso numerosi studi volti ad accertare l'utilità dei probiotici in caso di malattie infiammatorie (artrite reumatoide, asma bronchiale, malattie infiammatorie intestinali ecc.), allergie e malattie neoplastiche.

I probiotici infatti giocano un ruolo fondamentale nella regolazione del sistema immunitario intestinale, aumentando la produzione locale di immunoglobuline di tipo A (una forma di anticorpi), riducendo la permeabilità della mucosa intestinale e la penetrazione di antigeni, sostanze in grado di scatenare risposte immunitarie, e regolando l'infiammazione locale.

Visto lo stretto collegamento tra il sistema immunitario intestinale e quello delle mucose, si pensa che i probiotici possano avere effetti anche sistemici, come l'effetto antiinfiammatorio e immunomodulante, attribuito anche all'aumentata produzione di “linfociti T regulatory o suppressors„ (cellule immunitarie che modulano la risposta immunitaria).

Tali effetti sistemici, ancora in corso di studio, potrebbero risultare determinanti nella prevenzione di malattie autoimmuni, allergiche, infiammatorie e neoplastiche.

In conclusione, non scordiamoci che in caso di terapie antibiotiche, infezioni intestinali o dieta sbilanciata e povera di fibre, l'assunzione di probiotici, tramite integratori alimentari (capsule, flaconcini ecc.) o alimenti funzionali (yogurt, latti fermentati ecc.) è un modo naturale ed efficace per promuovere il nostro benessere intestinale, e... non solo. Si è già parlato dell'utilità di ceppi specifici per la salute dello stomaco e per combattere la gastrite.


Non resta che attendere ulteriori conferme sugli effetti sistemici antinfiammatori e immunomodulanti dei probiotici, che li rendono un promettente rimedio complementare in caso di malattie infiammatorie e neoplastiche, patologie autoimmuni e allergie, peraltro sempre più diffuse.


lunedì 2 giugno 2014

COLESTEROLO ALTO: RISCHI PER LA SALUTE, DIETA E RIMEDI EFFICACI


Il colesterolo alto, o ipercolesterolemia, è un importante fattore di rischio cardiovascolare modificabile, non solo attraverso l'assunzione di farmaci (statine), ma prima di tutto migliorando dieta e stile di vita ed eventualmente ricorrendo ad opportuni nutrienti e integratori alimentari "anticolesterolo". 
Ad oggi, sono vari gli accorgimenti dietetici e i rimedi naturali riconosciuti efficaci per prevenire il colesterolo alto. Vediamo quali sono e come agiscono.

Che cos'è il colesterolo? Quali rischi può comportare il colesterolo alto?
Il colesterolo è una molecola dalle importanti funzioni biologiche, che non deve essere demonizzata a priori. E' infatti necessario per la sintesi delle membrane cellulari e degli ormoni.
Tuttavia, se presente in eccesso e in determinate forme (si parla comunemente di colesterolo buono e colesterolo cattivo), il colesterolo diventa un pericolo per la salute. Vediamo meglio come.

Il colesterolo è trasportato nel circolo sanguigno tramite apposite lipoproteine che si distinguono in lipoproteine a bassa densità (Low density lipoprotein o LDL) e lipoproteine ad alta densità (High density lipoprotein o HDL).
Mentre le LDL trasportano il colesterolo dal fegato ai tessuti periferici, comprese le arterie, dove il deposito di colesterolo innesca un complesso processo che porta alla formazione di placche aterosclerotiche, le HDL “recuperano”colesterolo dai tessuti periferici, tra cui i vasi arteriosi e lo riportano al fegato, riducendo il rischio di sviluppo di aterosclerosi.
Per questo motivo il colesterolo-HDL viene detto "colesterolo buono", e al contrario il colesterolo-LDL viene chiamato "colesterolo cattivo".

I dati epidemiologici relativi al fattore di rischio "colesterolo" indicano oggi:
  • che la colesterolemia (colesterolo nel sangue), e in particolare la colesterolemia-LDL, è un fattore di rischio potente e indipendente di cardiopatia coronarica; elevati valori di colesterolo-LDL, in genere >160 mg/dL, possono compromettere la normale struttura e funzione delle arterie.
  • che elevati livelli di colesterolo totale e LDL e ridotti livelli di colesterolo- HDL si associano anche a un eccesso di rischio di morbilità e mortalità per patologie cerebrovascolari, e di mortalità per tutte le cause;
  • che la riduzione dei livelli di colesterolo nel sangue, contemporaneamente a quella di altri fattori di rischio, si accompagna a una diminuzione della morbilità e della mortalità per cardiopatia coronarica e ictus .

Come prevenire o ridurre il colesterolo alto?
Il colesterolo alto è un fattore di rischio mofidicabile attraverso un'adeguata dieta e uno stile di vita sano. In caso di colesterolo alto, è fondamentale prima di tutto l'adozione di una dieta ipolipemizzante (in parole semplici una dieta "anticolesterolo", povera di acidi grassi saturi e acidi grassi trans), e la riduzione del peso corporeo eventualmente in eccesso, da perseguire diminuendo l'apporto calorico della dieta e incrementando l'attività fisica.

Per i soggetti a rischio che non ricevono benefici dall'applicazione delle suddette prescrizioni igienico-dietetiche e che dopo un certo periodo di tempo, in genere tre mesi, presentano ancora il colesterolo alto (Valori indicativi: colesterolo totale > 190 mg/dl e/o colesterolo LDL > 115 mg/dl) si ritiene in genere necessaria la terapia farmacologica con statine (si sottolinea che ogni caso è a sè e che va gestito col medico curante considerando l'intero quadro clinico).

Nel caso invece di soggetti a rischio basso/intermedio, l'adeguamento dello stile di vita (dieta anticolesterolo e attività fisica regolare) è in genere sufficiente per la riduzione dei livelli di colesterolo.
E' proprio per questa tipologia di soggetti a rischio basso che possono risultare utili i prodotti salutistici e i rimedi naturali "anticolesterolo" come alternativa ai farmaci a basse dosi, associati ad una dieta adeguata.

Tra i rimedi naturali e i rimedi nutrizionali "anticolesterolo" quali sono quelli realmente efficaci in caso di colesterolo alto?
Sono stati sottoposti all'esame dell'Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare (EFSA) numerosissimi nutrienti ritenuti utili per il mantenimento di normali livelli di colesterolo nel sangue.
I nutrienti di efficacia anticolesterolo provata, per i quali sono stati autorizzati health claims (claims salutistici) inerenti il mantenimento di normali livelli di colesterolo nel sangue sono ascrivibili a tre categorie principali con differenti meccanismi di azione: acidi grassi monoinsaturi o poliinsaturi, fibre alimentari e componenti non digeribili degli alimenti, e altre sostanze di origine vegetale, animale o fungina (steroli o stanoli vegetali, monacolina ecc.).
Ecco quali sono e come mai sono utili per prevenire il colesterolo alto.

ACIDI GRASSI POLI-INSATURI (acido alfa-linolenico, l'acido linoleico):
Il meccanismo d'azione degli acidi grassi poli-insaturi sulla riduzione del colesterolo sierico è complesso: nonostante gli acidi grassi insaturi aumentano la sintesi endogena di colesterolo, essi aumentano il numero di recettori epatici per il colesterolo-LDL e il turn over del colesterolo-LDL in vivo. Gli acidi grassi fungono anche da ligandi di importanti elementi di regolazione, che possono giocare un ruolo importante nel determinare il colesterolo plasmatico.

ACIDI GRASSI MONOINSATURI O POLINSATURI (Acido oleico,Acidi grassi monoinsaturi e/o polinsaturi e alimenti a basso o a ridotto contenuto di acidi grassi saturi):
La sostituzione nella dieta di acidi grassi saturi con acidi grassi insaturi determina una riduzione degli effetti di questi ultimi (aumento sintesi colesterolo; riduzione turn-over colesterolo LDL).

MONAKOLINA K del riso fermentato dal lievito rosso (Monascus purpureus):
La monakolina K è un noto inibitore dell'enzima HMG-CoAreduttasi,
enzima coinvolto nella sintesi del colesterolo e target delle statine di sintesi.
Viene considerata per questo una statina naturale.

CHITOSANO: Il chitosano si legherebbe ai lipidi carichi negativamente riducendone l'uptake gastrointestinale. Tuttavia da studi sull'escrezione fecale a 24 h in volontari sani non risultano dati significativi e non è perciò chiaro se questo meccanismo possa davvero giocare un ruolo importante in relazione alla prevenzione del colesterolo alto.

FIBRE ALIMENTARI E COMPONENTI NON DIGERIBILI DEGLI ALIMENTI (Betaglucani, glucomannano, gomma di Guar, cellulosa metilica propilica idrossilata, pectine):
L'assunzione delle suddette fibre e componenti non digeribili determina un aumento della viscosità del contenuto dell'intestino tenue a cui consegue un minore riassorbimento degli acidi biliari, aumentando la sintesi di acidi biliari a partire dal colesterolo e riducendo così la quantità di colesterolo-LDL circolante.

FITOSTEROLI E FITOSTANOLI:
Gli steroli vegetali (es. Beta-sitosterolo, campesterolo) e gli stanoli vegetali (es. Ergostanolo, campestanolo) in forma libera o esterificata con acidi grassi alimentari, abbassano notevolmente il colesterolo sierico: 2 grammi al giorno di fitostanoli possono ridurre del 10% il colesterolo-LDL.
I meccanismi di azione sono molteplici:
● Competizione con il colesterolo alimentare e di origine epatica per la solubilizzazione e il successivo incorporamento nelle micelle miste 
● Formazione nel lume intestinale di complessi insolubili che precipitano e sono eliminati con le feci
● Competizione con i meccanismi di trasporto di membrana del colesterolo sulla parete intestinale
● Probabile regolazione delle proteine implicate nel metabolismo del colesterolo sia negli enterociti sia negli epatociti.

Per finire, quando si parla di rimedi naturali "anticolesterolo" il confine tra dieta e rimedio naturale/integratore alimentare è molto sfumato.
Basta vedere come tra i nutrienti efficaci per mantenere livelli normali di colesterolo si trovino in primis gli acidi grassi monoinsaturi e polinsaturi, il cui apporto dipende, più che da veri e propri integratori alimentari, dalla nostra dieta.
Anche nel caso del colesterolo alto vediamo quindi come il primo rimedio efficace e senza effetti collaterali sia una dieta sana e bilanciata, accompagnata da un'attività fisica regolare.


Fonti:
Miccoli RR., Lamorgese V., Linee Guida nel trattamento delle dislipidemie e degli altri fattori di rischio di cardiopatia ischemica, Università di Pisa,
http://www.diab.it/linee_guida_dislipidemie.html, 2013

Dizionario di Medicina, Treccani, www.treccani.it, 2013

Maria Luz Fernandez and Kristy L. West, Mechanisms by which Dietary FattyAcids Modulate Plasma Lipids, The Journal of Nutrition, vol. 135 no. 9, p. 2075-2078, 2005

Gerardo Medea, Terapia ipocolesterolemizzante: possibile uso dei fitosteroli vegetali in supporto alla dieta e/o ai farmaciI, SIMG, http://www.simg.it/, 2007

Laura Calpe-Berdiela, Joan Carles Escolà-Gila, Francisco Blanco-Vacaa, New insights into the molecular actions of plant sterols and stanols in cholesterol metabolism,ELSEVIER - Atherosclerosis, Volume 203, Issue 1, p. 18-31, 2009

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giovedì 22 maggio 2014

POTASSIO: UN AIUTO CONTRO LA PRESSIONE ALTA


Ecco l'articolo che ho redatto per Ricette del Benessere, il corporate blog di Ermitage Terme Bel Air in cui parlo del potassio e del suo ruolo protettivo nei confronti dell'ipertensione.

I benefici del potassio sono molti, infatti il potassio è un elemento fondamentale per numerose funzioni fisiologiche e una carenza di questo minerale nel nostro organismo può portare a disturbi più o meno gravi che vanno dalla debolezza muscolare sino all'aritmia cardiaca.
Negli ultimi anni il potassio è stato sempre più studiato per il ruolo importante che gioca nel mantenimento di una normale pressione sanguigna e nella prevenzione del rischio cardiovascolare.



domenica 13 aprile 2014

COME ABBRONZARSI IN SICUREZZA? ANCHE CON LA DIETA E I NUTRIENTI GIUSTI. VEDIAMO QUALI SONO...



Si avvicina l'estate, tempo di vacanze, di relax al sole e di abbronzatura. 
Proprio adesso è fondamentale giocare d'anticipo per proteggere la nostra pelle "dall'interno" attraverso una dieta adeguata
Vediamo quali sono i nutrienti fondamentali per preparare al meglio la nostra pelle all'esposizione al sole e abbronzarsi in sicurezza, fornendole delle difese endogene contro i danni provocati dai raggi ultravioletti (scottature, invecchiamento cutaneo, tumori della pelle) .

L'esposizione al sole è stata riconosciuta come fattore fondamentale per la sintesi della vitamina D e per la regolazione del tono dell'umore ma anche come importante fattore di rischio per la salute della pelle, a causa degli effetti nocivi dei raggi ultravioletti che vanno dalle scottature, al precoce invecchiamento cutaneo fino alle neoplasie cutanee.

Tanti sono abituati a pensare che l'unica arma davvero importante per abbronzarsi in sicurezza e per contrastare gli effetti avversi dei raggi ultravioletti siano i filtri solari, e per questo si ricorre ampiamente a creme, spray e cosmetici con filtri solari.
E' importante però considerare, che in assenza di queste protezioni solari, e quindi anche nel momento in cui queste vengono meno, per esempio a causa di numerosi bagni e docce, di sudorazione profusa e della mancata riapplicazione regolare della crema, la protezione della pelle dipende unicamente dalle nostre difese endogene.

E' quindi fondamentale, soprattutto in vista di esposizioni al sole protratte, fare particolare attenzione a fornire al nostro corpo tutti i nutrienti necessari per difenderci dagli effetti avversi del sole.
Ciò può essere fatto integrando la nostra dieta con appositi integratori alimentari o arricchendola di alimenti particolarmente ricchi di alcuni micronutrienti.
Alcuni di questi infatti possono agire come assorbitori di raggi ultravioletti, come antiossidanti o come modulatori di particolari vie biochimiche attivate dall'esposizione ai raggi ultravioletti.

In base ad uno studio che ha considerato l'eritema indotto dai raggi ultravioletti un indice di fotoprotezione in relazione all'assunzione di alcuni nutrienti, è emerso il ruolo chiave dei seguenti nutrienti, sotto elencati con alcune fonti alimentari di largo consumo per favorire un'abbronzatura sicura:

  • carotenoidi (carote, pomodori rossi, arance, angurie, banane, zucche)
  • tocoferoli (olio di germe di grano, mandorle dolci, nocciole, avocado)
  • acido ascorbico o Vitamina C (ribes, peperoni, kiwi, cavolfiori crudi, lattuga, fragole, agrumi)
  • flavonoidi (mele, uva, ciliege, mirtilli, cipolle, thè)
  • acidi grassi omega 3 (sardine, aringhe, salmone, tonno, sgombri)
Un ragionevole apporto di questi nutrienti con la dieta contribuisce al mantenimento delle nostre difese naturali endogene nei confronti dei raggi ultravioletti.
Se si considera anche che l'esposizione ai raggi ultravioletti, seppur modesta, è continua nell'arco della nostra vita e non limitata unicamente alle vacanze estive e alle giornate di "tintarella", una dieta adeguata, soprattutto per i soggetti più sensibili, deve essere posta in primo piano.


FONTI
Annu Rev Nutr. 2004;24:173-200.h, Nutritional protection against skin damage from sunlight. Sies H,Stahl W.
Institut fur Biochemie und Molekularbiologie I, Heinrich-Heine-Universitat Dusseldorf, D-40001 Dusseldorf, Germany. sies@uni-duesseldorf.de
www.inran.it
http://irapl.altervista.org/tesi/ 
http://www.farmaciaiaccheri.it/flavonoidi.html 

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martedì 1 aprile 2014

CAPELLI CHE CADONO? DIETA E INTEGRATORI POSSONO AIUTARCI... VEDIAMO QUALI.


Sono sempre di più i consumatori che di fronte a capelli fragili e che cadono ricorrono ad integratori alimentari specifici per la salute dei capelli. Tra i tanti nutrienti e le tante formule di integratori in commercio, è fondamentale sapere quali possono davvero risultare utili ed efficaci, anche dal punto di vista regolatorio, in caso di diradamento e caduta dei capelli. E a giudicare dai dati EFSA i nutrienti realmente utili sono davvero pochi. Vediamo quali.

L'indebolimento e la caduta dei capelli possono essere legati oltre che a fattori genetici e ormonali (caso esemplare è l'alopecia androgenetica dell'uomo) anche ad una dieta carente in alcuni nutrienti, fondamentali per il trofismo e la salute dei capelli.
In caso quindi di capelli che cadono o che diventano più fragili e sottili, è importante, per uomini e donne, fare una sorta di "esame di coscienza" sulla nostra dieta.
Una dieta inadeguata e carente in determinate vitamine e minerali può essere causa o concorrere insieme ad altri fattori all'indebolimento e alla caduta dei capelli con conseguente diradamento.

Quali sono i nutrienti riconosciuti utili per il trofismo e la salute dei capelli?
Tra i tanti nutrienti pubblicizzati per la salute dei capelli, per il momento solo Biotina, Selenio e Zinco possono vantare dal punto di vista legislativo, e quindi in etichetta, un claim salutistico (Health Claim) autorizzato dall'Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare (EFSA).
L'Healt Claim in questione è ".... contribuisce al mantenimento di capelli normali" e se ad oggi sono davvero pochi i nutrienti per cui è autorizzato, non è detto che la situazione non possa cambiare con la valutazione di nuovi dati scientifici.
Vediamo nel dettaglio come mai questi nutrienti, che sono normalmente introdotti a livelli sufficienti seguendo una dieta variata e bilanciata, sono utili per la buona salute dei capelli e quali sono le fonti alimentari.

Biotina (Vitamina B8 o Vitamina H): appartenente alle vitamine del gruppo B, la biotina può risultare utile per favorire la crescita e la salute dei capelli in quanto è provato che la carenza di biotina provoca, tra i vari sintomi, l'assottigliamento dei capelli e la progressione della caduta dei capelli (alopecia).
Il trattamento della carenza di biotina per almeno 1-2 mesi, tramite l'adeguamento della dieta o integratori alimentari, porta alla crescita di capelli normali e "in buona salute".
Le principali fonti alimentari di biotina, da non far mancare nella propria dieta, sono latte, latticini, tuorlo d'uovo e frutti di mare. Nei vegetali la biodisponibilità di biotina è minore.

Selenio: è un oligoelemento esistente in natura, fondamentale per numerose funzioni fisiologiche.
La carenza di selenio è associata a vari disordini tra cui l'indebolimento e la perdita di capelli, sino all'alopecia. In caso di carenza, l'assunzione di selenio è in grado di far regredire queste manifestazioni carenziali.
Tra le fonti alimentari di selenio di origine animale spiccano alcuni pesci (tonno, sardine, sogliola), crostacei (aragoste, gamberi), mitili (cozze), fegato.
Le fonti alimentari vegetali, meno ricche in selenio rispetto alle precedenti e con contenuto di selenio variabile a seconda del terreno, sono principalmente fagioli, mais, riso e lenticchie.

Zinco: è un elemento essenziale, costituente di alcune proteine e di enzimi ad azione antiossidante o con funzioni catalitiche.
La carenza di zinco causa, tra i tanti sintomi, la caduta di capelli, soprattutto a chiazze.
Le principali fonti alimentari di zinco di origine animale sono il grana, fegato suino o bovino, carni di tacchino, agnello o suino. Tra le fonti alimentari vegetali spiccano invece noci pecan, fagioli, ceci e arachidi.

Alcuni integratori per capelli contengono, oltre ai nutrienti assunti normalmente con la dieta, anche estratti di erbe, come l'estratto di Serenoa repens.
La Serenoa repens è ad oggi il più popolare inibitore naturale dell'enzima 5-alfa-reduttasi (5aR), che converte il testosterone in diidrotestosterone.
Per questo suo effetto, nonostante la mancanza di appropriati studi clinici, è ampiamente pubblicizzata come potente rimedio per l'ipertrofia prostatica benigna e l'alopecia androgenetica (AGA), anche dagli stessi tricologi che promuovono l'estratto di Serenoa repens come alternativa "più sicura" alla finasteride, un inibitore di sintesi dell'enzima 5-alfa-reduttasi.


Fonti:
EFSA Journal
J Cutan Aesthet Surg.2009 Jan-Jun; 2(1): 31–32.doi
Serenoa Repens: Does It have Any Role in the Management of Androgenetic Alopecia?
Sundaram Murugusundram
www.inran.it
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domenica 16 marzo 2014

OMOCISTEINA ALTA, RISCHIO CARDIOVASCOLARE E DIETA


L'iperomocisteinemia (alta concentrazione di omocisteina nel sangue) è un fattore di rischio cardiovascolare emergente, che può dipendere da carenze di nutrienti nella dieta.
Alcuni nutrienti (colina, betaina e alcune vitamine del gruppo B) sono fondamentali per mantenere sotto controllo i livelli di omocisteina e vantano il claim salutistico "contribuisce al normale metabolismo dell’omocisteina", autorizzato dall'Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare (EFSA) sulla base di consistenti evidenze scientifiche.

L'omocisteina è un aminoacido non proteico prodotto dal metabolismo della metionina, aminoacido solforato essenziale che viene introdotto nel nostro organismo con la dieta. 
La concentrazione plasmatica di omocisteina è il risultato di una stretta relazione tra le abitudini dietetiche e fattori genetici predisponenti e un'alta concentrazione di omocisteina nel sangue può dipendere da una dieta non sufficientemente ricca di acido folico e di altre vitamine del gruppo B.

L'iperomocisteinemia (alta concentrazione di omocisteina nel sangue) è oggi considerata un fattore di rischio cardiovascolare emergente, forte e indipendente associato all'insorgenza di malattie cardiovascolari (aterosclerosi coronarica ed infarto miocardico), cerebrovascolari (ictus cerebrale) e vascolari periferiche (trombosi arteriose e venose).
Si stima che le persone con iperomocisteinemia abbiano un rischio circa doppio di sviluppare una malattia cardiovascolare rispetto a chi ha dei valori normali e questa condizione è ormai accettata dalla comunità scientifica come ulteriore fattore di rischio che si aggiunge agli altri ben noti fattori di rischio cardiovascolare (ipertensione arteriosa, diabete mellito, colesterolo alto, fumo).

Da una revisione scientifica dei ricercatori del Iberoamerican Cochrane Network, tesa a valutare l’efficacia clinica di interventi mirati ad abbassare il livello di omocisteina in persone con o senza preesistenti malattie cardiovascolari, non sono emerse per il momento prove a sostegno di trattamenti che riducono i livelli di omocisteina per la prevenzione di eventi cardiovascolari.

L'iperomocisteinemia resta però una condizione associata ad un aumentato rischio cardiovascolare, ed è per questo considerata un marker di rischio cardiovascolare in vari programmi di screening: è quindi importante sapere quali sono i nutrienti (vitamine e non solo) che aiutano a tenere sotto controllo la concentrazione di omocisteina nel sangue e la cui carenza può essere associata a iperomocisteinemia.

Alcuni nutrienti, in seguito ad esame e autorizzazione dell'Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare (EFSA), possono vantare l'health claim "contribuisce al normale metabolismo dell'omocisteina". 

Vediamo di seguito quali sono, come agiscono e dove si trovano (fonti alimentari).

Betaina: ha origine dall'ossidazione della colina nei mammiferi e può agire come donatore di un gruppo metilico nel processo di rimetilazione dell'omocisteina nel fegato.
Tale meccanismo di azione supporta le numerose evidenze scientifiche da studi sull'uomo che hanno mostrato la significativa riduzione delle concentrazioni plasmatiche di omocisteina a seguito della somministrazione di betaina.
Va ricordato però che dosi giornaliere di 6 g di betaina sembrano determinare un aumento del colesterolo totale e LDL ematico, cosa che non si verifica a dosi significativamente più basse (4g/d). Per questo motivo è prevista per la betaina un'avvertenza supplementare
Fonti alimentari di betaina: Quinoa, barbabietola, broccoli, spinaci, cereali e frutti di mare.

Colina: funge da precursore della betaina, di cui è noto il meccanismo d'azione sul metabolismo dell'omocisteina.
In accordo con ciò, diete prive o carenti in colina si associano ad un aumento dell'omocisteinemia e da studi effettuati risulta una correlazione inversa tra l'apporto
alimentare di colina e la concentrazione di omocisteina nel sangue.
Fonti alimentari di colinatuorlo d'uovo, semi di soia, fegato di vitello e di tacchino, lecitina.

Acido folico e folati: il 5-metil-tetraidrofolato è un importante intermedio della via metabolica folato-dipendente per la produzione di metionina da omocisteina.
Fonti alimentari di acido folico e folati: frattaglie (rene, fegato), verdure a foglia verde (lattuga, spinaci, broccoli), legumi e uova.

Vitamina B12: la metilcobalamina, una forma coenzimatica della vitamina B12, è anch'essa coinvolta nella rimetilazione dell'omocisteina a metionina, che richiede come cofattori sia il folato sia la vitamina B12.
Fonti alimentari di Vitamina B12: alimenti di origine animale, soprattutto fegato.

Vitamina B6: è essenziale per una via metabolica alternativa per la rimetilazione dell'omocisteina a metionina (ciclo della transulfurazione).
Fonti alimentari di Vitamina B6: alimenti a base di farine integrali, alcuni frutti tropicali (avocado, banane), nocciole, germe di grano, lievito di birra e carote, ma anche riso, lenticchie, tonno, salmone e gamberetti. 

In conclusione, la carenza di folati e acido folico, vitamina B12, vitamina B6, colina e betaina è alla base di un'alterata rimetilazione dell'omocisteina, che dopo un primo accumulo intracellulare viene riversata nel sangue in quantità dipendenti dalla severità della carenza ma anche dalla coesistenza di fattori genetici e di altri fattori che possono interferire con il metabolismo dell'omocisteina.

In caso di iperomocisteinemia (omocisteina alta) può essere quindi utile appurare se tra i vari fattori in gioco vi è una carenza di questi nutrienti, fondamentali per garantire un normale metabolismo dell'omocisteina e per prevenire l'iperomocisteinemia.


Jean-Charles Fruchart, PhD; Melchior C. Nierman, MD; Erik S. G. Stroes, MD, PhD;John J. P. Kastelein, MD, PhD; Patrick Duriez, Atherosclerosis: Evolving Vascular Biology and Clinical Implications - New Risk Factors for Atherosclerosis and Patient Risk Assessment. Circulation, Cap. 109, 2004
Interventi per ridurre l’omocisteina per la prevenzione degli eventi cardiovascolari, www.omocisteina.net, 2013
EFSA Journal 2011
Image Courtesy of rakratchada torsap/FreeDigitalPhotos.net